La Psicoanalisi e le Psicoterapie Psicodinamiche
La Psicoanalisi è stata la prima forma di psicoterapia vera e propria ed è nata con Freud verso la fine del 1800, sull’intuizione fondamentale della dimensione inconscia di gran parte dell’attività della psiche. In seguito si sono sviluppate diverse diramazioni, che hanno rivisto e arricchito l’impianto teorico e la tecnica originaria. Tra queste le più significative sono quelle che fanno riferimento a Freud e ai neo-freudiani, a Jung , ad Adler, e a Lacan. Dalla psicoanalisi sono derivate anche la psicoterapia di gruppo, della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza.
L’evoluzione storica e soprattutto l’adattamento della tecnica classica hanno permesso un suo utilizzo anche per diagnosi sempre più complesse (sindromi borderline, strutture narcisistiche, sintomi psicotici,…) che man mano si imponevano nello scenario della sofferenza mentale e hanno permesso di utilizzare alcuni interventi in ambito istituzionale, in ospedali, ambulatori, day-hospital. Inoltre le ricerche attuali nel campo delle neuroscienze da circa dieci anni stanno fornendo un vasto materiale a sostegno dell’efficacia della psicoterapia nel promuovere cambiamenti a livello della fisiologia e anatomia cerebrale, che diventano nel tempo strutturali. Il dialogo è aperto in particolare con la psicoanalisi, in quanto i neuroscienziati sottolineano come siano fondamentali le esperienze affettive del bambino, con la madre nei primi anni di vita, per la maturazione dei circuiti cerebrali e della capacità di autoregolazione. Tali esperienze passerebbero attraverso una comunicazione prevalentemente pre-verbale, regolata dall’emisfero destro del cervello; una comunicazione spesso inconscia e inconsapevole che caratterizza una parte fondamentale del lavoro psicoanalitico: l’ascolto dell’inconscio attraverso l’analisi dei sogni e il linguaggio non-verbale.
Questo ed altri costrutti sono risultati particolarmente compatibili con le ricerche del premio Nobel per la medicina Eric Kandel, come con quelle di Damasio, di Solms, e di Schore che nel 2008 ha ricevuto l’Award per la Ricerca Scientifica.
In sintesi ciò che caratterizza il lavoro analitico è l’attenzione all’emergere di contenuti inconsci del comportamento e dello stato emotivo, fino ad una profonda presa di coscienza di sé, della propria struttura psichica e dei nodi nevrotici. La sofferenza psichica viene intesa come espressione di un blocco evolutivo dovuto a fragilità intrinseche della mente e/o ad inadeguate richieste dell’ambiente, una “crisi” che può soverchiare l’individuo oppure essere occasione di maggiore autocoscienza. Spesso si tratta di un lavoro lungo e i tempi sono assolutamente individuali, ma ciò può diventare comprensibile se l’obiettivo non è lo sfogo di un momento difficile o la ricerca di consigli per risolvere un problema immediato, bensì la conoscenza delle proprie usuali modalità, in genere inconsce, di percepire i propri stati interni e di relazionarsi con la realtà esterna e con gli altri, nonché di gestire tutte le situazioni critiche. Ci vuole tempo per analizzarle e per stabilizzare i cambiamenti, perché diventino strutturali. Tale conoscenza permetterà tra l’altro di acquisire un bagaglio di strumenti necessari, anche successivamente alla conclusione del percorso, al proprio processo evolutivo che dura tutta la vita.