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Pubblicato da il 12 set 2014

Presentazione della Mostra “Simboli e alchimia” delle opere di Lucio del Pezzo

Presentazione della Mostra “Simboli e alchimia” delle opere di Lucio del Pezzo

Vi confesso che mi sono avvicinato alle opere di Del Pezzo con un atteggiamento particolarmente prudente, quasi reverenziale, sia per la fama e l’elevato valore artistico delle sue creazioni, sia perché i suoi quadri non concedono molto alla seduzione dell’immediatezza di uno sguardo figurativo. Non ammiccano al fruitore dell’opera (definirlo spettatore appare impropriamente distanziante). Eppure affascinano in modo arcano con una composizione simbolica che, con i suoi continui rimandi, non finisce mai di interrogarmi.
Fior fiore di critici hanno suggerito una lettura cauta, stratificata, aperta alla molteplicità dei piani espressivi e al possibile dirottamento improvviso di significato, ed io, che non sono un critico d’arte, devo utilizzare i miei strumenti ermeneutici in modo particolarmente critico. E’ già di per sé sempre un grosso rischio affidare ad uno psicoanalista la presentazione di un artista, o delle sue opere, perché in una chiave invero paleofreudiana l’arte, così come la filosofia e la religione, sono fenomeni “sospetti”, nient’altro che prodotti della sublimazione e rimozione degli impulsi.
E in verità questo si potrebbe adattare, anche se solo apparentemente, all’utilizzo che Del Pezzo fa di frammenti, a volte di oggetti dimenticati chissà dove e quando: un recupero di elementi che nell’assemblage diventano segni, significanti di un significato più profondo e non immediatamente accessibile, ma in realtà solo apparentemente nascosto, occultato.

La poliedrica esperienza di Roberto Rossini, che definire gallerista di successo, pubblicista e organizzatore di eventi artistici è ancora estremamente riduttivo, ha permesso di cogliere un aspetto essenziale della produzione artistica di Del Pezzo: quello alchemico, che è oggi il fulcro, il fil rouge di questa esposizione.

Ed io son qui per cercare di condividere con voi gli infiniti rimandi delle opere esposte proprio in questa chiave.
L’ottica che vi propongo, che è quella che deriva dalla scuola di Zurigo di Carl Gustav Jung, permette di considerare l’artista come quel raro soggetto capace di andare a cogliere negli recessi più profondi della psiche, senza esserne travolto, contenuti primordiali, archetipici, forme a priori della mente, che si stratificano nei vissuti e che sottendono interrogativi teleologici che appartengono all’umanità tutta. L’artista possiede quella rara capacità di tradurre questi contenuti in immagini, in oggetti, in esperienze solo apparentemente sensoriali ed estetiche che possono essere condivise in modo inesauribile.

Potremmo così dire che le opere di Del Pezzo ri-velano, cioè nell’apparenza mostrano, si dispiegano agli occhi di chi osserva, ma in realtà celano nuovamente l’essenza dietro simboli che, con un gioco di rimandi infinito, ci spinge sempre oltre.
Se guardiamo le opere esposte nel loro insieme, ci accorgiamo di una loro unitarietà di linguaggio. Forse potremmo banalmente dire che è lo stile di Del Pezzo, ma questo stile è molto di più di una costanza di tratto, di composizione: è il tentativo –riuscitissimo- di recuperare con il potere evocativo delle immagini, quella magia del vivere che si è persa con la modernità, quella partecipation mistique che permetteva all’uomo di sentirsi all’interno in un grande progetto universale, in armonia con i grandi cicli della natura e delle stelle, in sintonia con un mondo che era di per sé sacro ed esprimeva ancora l’essenza del vivere.

Come dicevo all’inizio la mia sensazione è che le opere di Del Pezzo non solo ci parlino, non solo esprimano lo sforzo di una tensione espressiva ed esistenziale, ma soprattutto ci interroghino, ci spingano a ricercare il senso, non dell’immagine beninteso, ma il senso, il fine del nostro esserci.
Del Pezzo lo fa con quella poesia di simboli che appartengono alla geometria, all’alchimia e che, in quanto depositati nel nostro inconscio collettivo, attingono ad un linguaggio universale, ad un pattern mentale patrimonio di tutta l’umanità.
Triangoli, stelle, il pentalfa, cerchi concentrici, sono gli elementi di una metafisica che definirei magica.

Le opere di Del Pezzo ci parlano di noi e ci interrogano sulla nostra essenza utilizzando forme archetipiche e simboli alchemici: “L’uomo è una specifica combinazione del ferro denso e depressivo, con lo zolfo infiammabile e aggressivo, con il sale amaramente saggio ed il mercurio volatile ed evasivo” (Hillman, 1975). Aggiungerei che contiene in sé quella scintilla di luce creativa, di oro, che Del Pezzo possiede in modo magistrale, ma che deve essere presente anche in noi se rimaniamo affascinati dalle sue composizioni.

Con i colori e le proporzioni -elementi ad un tempo armonici ed espressivi di un tormento a volte risolto in una decantazione di forme-, Del Pezzo esplora il mondo esterno ed al contempo la propria interiorità in quell’unità ermetica che vede il macrocosmo riflettersi nel microcosmo e viceversa: “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per perpetuare il miracolo della Cosa Una” (Tabula Smaragdina di Ermete Trismegisto).

L’artista ci interroga e al contempo ci trasforma perché l’opus alchimico è trasmutazione.
Posso immaginare Del Pezzo immerso nella sua attività creativa come gli alchimisti vivevano, nella loro ricerca appassionata, esperienze emotive e spirituali.
Elemento essenziale dell’alchimia, così come dell’arte di Del Pezzo, è l’impossibilità di scindere il risultato dall’esperienza di una forza sotterranea e sovversiva che si trasforma in spontaneità. Non a caso è stato definito il naif perverso da Pierre Restany (1967).

Il risultato è un’opera d’arte che rimanda al contempo a forme elementari, e proprio per questo archetipiche, e a simboli più complessi appartenenti a quell’immaginario alchemico che è stato rivoluzionario nello staccarsi dalla visione asessuata, sterilizzata, del cristianesimo medioevale.

Gli alchimisti avevano il molteplice obiettivo (forse solo apparentemente molteplice) di trasformare la materia vile in oro, o nella pietra filosofale, o infine nello spirito.
L’oro, come colore e come metallo, entra già negli anni sessanta nell’opera di Del Pezzo, ma anche qui, come nell’alchimia, non si tratta dell’aurum vulgi, del metallo che allude ad un valore monetizzabile, ma di pura luce che illumina la composizione, di colore-oggetto che allude all’essenza, che coagula in sé i tutti i simboli.

L’opera di Del Pezzo è doppiamente alchemica. L’aspetto più immediato è l’uso di simboli tipici della Grande Opera, simboli al contempo astronomici e chimici. Quello più interessante e più velato sta nella trasformazione che fa della materia in esperienza, non estetica, ma fortemente animica. La matericità delle sue opere ci provoca, ci spinge ad esperirle con tutti i sensi e a trascenderli; i suoi assemblaggi, le sue composizioni, sono state definite adimensionali perché l’armonia dell’opera trascende la materia, la trasforma fino a diventare esperienza animica.

L’attività creativa di Del Pezzo è un lavoro di rettificazione (che potremmo tradurre con purificazione, distillazione, estrazione della quintessenza), in assonanza con l’acrostico alchemico V.I.T.R.IO.L., che giunge all’essenza in una composizione armonica di forme elementari.
“Visita Interiora Terrae, Rctificando Invenies Occultum Lapidem” che potremmo tradurre in maniera non letterale “fai esperienza della profondità della materia e del tuo essere e, rettificando, cioè elaborando interiormente, troverai la pietra filosofale”, il lapis alchemico che riesce appunto a trasformare la materia grezza in oro, nella luce della conoscenza, nell’esperienza dell’Anima.

L’alchimista Del Pezzo lavora in stretta relazione con la sua Soror Mistica, con la sua Anima –in senso junghiano- ed è da questo rispecchiamento che deriva la forza evocativa dell’opera d’arte. I suoi sono quadri? Sculture? Collage? Assemblaggi?: si passa dalla materia, all’immagine, alla composizione armonica degli elementi che producono il loro stesso superamento.

Ora sta a noi attivare questa funzione animica e godere pienamente di queste splendide opere.

Gabriele Borsetti

Del Pezzo

L’artista, nato a Napoli il 13 dicembre del 1933, si diploma nel corso di arti applicata, sezione pittura decorativa, all’istituto d’Arte di Stato. Frequenta, allievo di Emilio Notte, il corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Tiene la sua prima personale a Padova nel 1957. Vive e lavora a Milano .